Antonio Agosti (1785‑1865): ‘dilettante’ d’arte e collezionista bellunese
Abstract Antonio Agosti was born and raised in Belluno, where he became one of the most prominent figures of the city during the first half of the nineteenth century. Despite this, his life and work have not yet been fully investigated. Agosti served as the city’s podestà for fourteen years and is remembered for his unusual passion for the fine arts, which led him to write two travel notebooks about Belluno and its province between 1819 and 1829. In addition to presenting the manuscripts, the article aims to reconstruct the count’s private collection, which consisted primarily of Venetian paintings from the fifteenth to the nineteenth century. These paintings, which spanned the works of Antonio da Tisoi to Giambattista Tiepolo, were acquired by the count over the course of his lifetime.
Keywords Antonio Agosti. Belluno. Art lover. Travel notebooks. Private collecting. Primitives. Tiepolo.
1 Introduzione
La città di Belluno vive, a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, un momento di grande fervore culturale in cui pare allinearsi alle tendenze artistiche dei centri maggiori e allentare l’attardamento dovuto, in parte, alla sua posizione periferica. Questa vivacità nel campo delle belle arti è certo in buona parte da ricondursi alla trama dei rapporti intessuti tra gli artisti bellunesi attivi entro l’Accademia di Venezia, i collezionisti cittadini e gli eruditi locali, che assicurano un aggiornamento grazie al contatto con la città lagunare. In particolare, sono gli scambi tra le famiglie nobili più in vista quali gli Agosti, i Fulcis (poi Miari Fulcis) e i Pagani a caratterizzare la scena locale e a garantire una tangenza con il mercato veneziano attraverso la mediazione degli artisti loro protetti.
In questa congiuntura, merita specifica attenzione la figura di Antonio Agosti, personalità politica di rilievo nel primo Ottocento bellunese, ‘dilettante’ d’arte e collezionista, privo tuttora di un profilo biografico e critico che ne valorizzi il ruolo centrale per la vita culturale cittadina.
2 Per un profilo biografico di Antonio Agosti
Della biografia di Agosti, nato a Belluno il 4 agosto 1785, abbiamo poche testimonianze che si desumono incrociando le fonti d’archivio a quanto di lui riferiscono i contemporanei. Dall’amico Giovanni Pagani Cesa (1836, 10) apprendiamo che il padre di Antonio, Giuseppe (1756‑1836), educò i figli all’amore per le lettere e per le arti e trasmise al primogenito una «pregevole collezione di quadri e stampe», dal giovane poi accresciuta. Emerge così fin da subito il duplice profilo di Agosti amatore d’arte: come intenditore e come collezionista, due sfaccettature biografiche che andranno sempre di pari passo e che, permeabili, garantiscono una visione della sua personalità a tutto tondo (Sorgato 1858, 50).
Dei suoi primi incarichi politico‑sociali siamo messi a conoscenza da Agosti stesso che, alla fine degli anni Quaranta, stila un elenco delle cariche amministrative ricoperte dal 1814 al 1846 evidenziando indirettamente la sua capacità nel ricoprire ruoli politici di primo piano in città anche durante il delicato passaggio tra Regno d’Italia e Regno Lombardo‑Veneto.1 È poi dal medesimo documento che si evince che il 29 luglio 1819 viene scelto dalla Congregazione Municipale per effettuare una ricognizione del territorio bellunese al fine di elencare le opere d’arte esistentivi e constatarne la qualità e lo stato di conservazione:2 da questo impegno nascerà il suo manoscritto Monumenti, Pitture e Scolture meritevoli di attenzione nella città di Belluno, e suo Distretto, accompagnato da una lettera di denuncia per la noncuranza dei concittadini nei confronti del patrimonio artistico.3 Tra l’attività civica e quella di cultore d’arte, dunque, emerge per lo più quest’ultimo aspetto, a cui egli sembra dedicare maggiore attenzione investendo fin da subito molte energie anche per la cura e la salvaguardia di dipinti e sculture anche di modesto valore storico‑artistico. Non solo redige documenti ufficiali su commissione della Municipalità, ma si diletta anche nella stesura di un personale ‘taccuino di viaggio’ in cui annota alcuni siti visitati tra 1822 e 1823 (con una aggiunta al 1829), ubicati nelle zone limitrofe la città: il Giornale Pittorico che contiene alcune Memorie dei quadri, delle pitture e sculture osservate da un Dilettante nella Città e Provincia di Belluno.4
1 Belluno, Archivio Storico del Comune, Archivi privati, Agosti, famiglia, Lettere pubbliche e di qualificati soggetti 1808‑1941, b. 1523, «Tabella delle cariche sostenute e dei servigj prestati dal Sottoscritto».
2 Belluno, Archivio Storico del Comune, Archivi privati, Agosti, famiglia, Lettere pubbliche e di qualificati soggetti 1808‑1941, b. 1523, 29 luglio 1819a (d’ora in poi: Monumenti).
3 Belluno, Archivio Storico del Comune, Archivi privati, Agosti, famiglia, Lettere pubbliche e di qualificati soggetti 1808‑1941, b. 1523, 29 luglio 1819b.
4 Belluno, Biblioteca del Seminario Gregoriano, Da Borso, 03, C, 01, «Giornale Pittorico che contiene alcune Memorie dei quadri, delle pitture e sculture osservate da un Dilettante nella Città e Provincia di Belluno», 1° aprile 1821‑29 (d’ora in poi: Giornale Pittorico).
Oltre ai due manoscritti redatti negli anni Venti egli stila nella prima metà degli anni Trenta, durante il suo mandato come podestà (1827‑35), altri due scritti utili per un’analisi del suo profilo storico‑critico: il Diario Ristretto del viaggio romano, datato 1831, e l’Elogio di Andrea Brustoloni da Belluno, testo a stampa pubblicato nel 1833. Il primo è, di nuovo, un taccuino in cui egli annota le tappe percorse nel viaggio da Belluno a Roma, intrapreso al fine di omaggiare l’elezione al soglio pontificio del concittadino Gregorio XVI [fig. 1].5
5 Agosti, Diario ristretto del viaggio di Roma eseguito nell’anno 1831 dallo scrivente nella qualità onorevole di Deputato della R. Città presso il Santo Padre Gregorio XVI, onde, in unione ai deputati colleghi sig. Nob. Dr. Giovanni Pagani Cesa, mons. G. Sperti, Canonico Decano, mons. Giuseppe Co: Zuppani, tributare a S. Santità gli omaggi e le congratulazioni della Patria fortunata pel glorioso suo esaltamento 1831. A tal proposito si veda Da Borso 1965, 143‑51.

Figura 1 Pietro Paoletti, Papa Gregorio XVI riceve la Deputazione Bellunese composta da monsignor Giovanni Sperti, monsignor Giuseppe Zuppani, conte Antonio Agosti e conte Giovanni Pagani Cesa. 1831. Belluno, Seminario Gregoriano. Particolare
Più interessante ai nostri fini è il testo dedicato a Brustolon, prima monografia dell’intagliatore bellunese, che, grazie anche alla posizione dell’Agosti erudito e collezionista, vive un momento di rinnovata gloria agli inizi dell’Ottocento. Il saggio viene redatto dal podestà per la consacrazione e inaugurazione di due altari marmorei realizzati a coronamento delle pale lignee di Brustolon nella chiesa di San Pietro e l’autore sfrutta l’evento per ricostruire a grandi linee il catalogo dell’intagliatore, colmando di fatto una lacuna già evidenziata dal conte Leopoldo Cicognara, che con Agosti era probabilmente in contatto.6
6 Per un’analisi dell’Elogio e un approfondimento sul rapporto tra Agosti e Cicognara si veda Frescura 2021‑22, 13‑16.
Il quinto decennio dell’Ottocento fu per il conte caratterizzato da un susseguirsi di mandati politici e amministrativi intervallati da investiture più e meno nobilitanti. Viene rinnovato ancora una volta il suo ruolo a capo del Municipio, viene insignito nel 1847 del titolo di Consigliere di Governo e, a seguito dei moti del 1848, presiede il Comitato Provvisorio Dipartimentale per il Governo cittadino.
Avvalendosi della sua posizione nel 1849 chiede invano la grazia per il concittadino Jacopo Tasso, decidendo infine di dimettersi dal ruolo di podestà.7
7 La lettera di dimissioni è conservata come carta sciolta non numerata nel fondo Da Borso della Biblioteca Seminario Gregoriano di Belluno (Da Borso 1960, 454).
Si conclude così, a 63 anni, la carriera di Antonio Agosti, che presumibilmente colse la palla al balzo per ritirarsi a vita privata dopo decenni di impegni amministrativi. Quasi dieci anni dopo, Antonio morì nella sua casa in Campitello.
3 Antonio Agosti ‘dilettante’ d’arte
Come anticipato, tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento Agosti redige due manoscritti: Monumenti, Pitture e Scolture meritevoli di attenzione nella Città di Belluno, e suo Distretto e il Giornale Pittorico che contiene alcune Memorie dei quadri, delle pitture e sculture osservate da un Dilettante nella Città e Provincia di Belluno. Seppur cronologicamente corrispondenti e accomunati da un medesimo orizzonte culturale, gli scritti si differenziano per finalità e geografia, restituendoci allo stesso tempo una preziosa visione d’insieme della cultura del conte e un’attendibile fotografia del panorama storico‑artistico bellunese d’inizio secolo.8
8 Si deve a Flavio Vizzutti (1990a; 1990b; 1990c; 1990d) una prima trascrizione del Giornale Pittorico, in cui lo studioso tenta un’identificazione delle opere citate da Agosti. Si segnala tuttavia che il manoscritto non è stato pubblicato nella sua interezza, mancando gli appunti inerenti al soggiorno agordino del 1829. Massimo De Grassi ha invece pubblicato in appendice a un suo contributo alcuni passaggi dei Monumenti, segnatamente quelli dedicati alle collezioni private cittadine (De Grassi, Perale 2006, 13‑46). Per la trascrizione integrale di questi documenti si rimanda invece a Frescura 2021‑22, 141‑62.
Antonio, dopo aver ricevuto nel 1819 l’incarico di compilare un resoconto con gli «Oggetti più rimarcabili nella città e Distretto di Belluno», decide parallelamente di fare una perlustrazione del territorio provinciale a scopo non tanto istituzionale ma di ‘conoscenza’, da cui nasce il Giornale Pittorico. Significativo rispetto al contesto bellunese il fatto che l’autore non annoti le emergenze artistiche del centro cittadino, ma compia piuttosto una ricognizione di gran parte del territorio provinciale, partendo dall’immediata periferia (Visome, Tisoi o Cavarzano) per allontanarsi anche sensibilmente dal capoluogo verso Castellavazzo, Feltre e Alleghe. Monumenti, al contrario, si concentra sulle chiese e le collezioni private di Belluno‑città, con un breve excursus sugli edifici chiesastici dei ‘distretti’ di Sedico, Mel e Lentiai.
I due contribuiti sono compositivamente simili, presentandosi entrambi come taccuini di viaggio. In ambedue i casi Agosti si premura infatti di appuntare le chiese e i palazzi visitati e di stilare l’elenco delle opere contenutevi, accompagnando quest’ultimo con un personale commento stilistico‑iconografico (secondo un modus operandi che ritroveremo anche nel Diario Ristretto del viaggio romano) e, soprattutto, attributivo. Sfortunatamente, le ricognizioni di Monumenti non risultano datate, mentre lo sono quelle del Giornale.
Passando a una disamina dettagliata dei due testi, si considererà inizialmente Monumenti, essendo di fatto nato per primo e avendo rappresentato lo spunto per una parallela ricognizione del territorio provinciale.
Le ragioni dello scritto sono da ricercare in una lettera inviata il 29 luglio 1819 ad Antonio Agosti – nominato Assessore presso la Giudicatura Politica – dalla Congregazione Municipale, in cui gli veniva esplicitamente richiesto di indagare se nella Provincia di Belluno vi fossero «Pitture, Statue, od altri monumenti delle belle Arti Pregevoli [...] degne di essere conservate, ed anzi ristaurate ove per ingiuria del tempo, o per altri sinistri avessero subito dei guasti» e di stabilire la somma necessaria per un eventuale loro restauro.9 Un documento assai prezioso, il cui reperimento, oltre a chiarire lo scopo dei Monumenti, giustifica il rapporto di denuncia allegatovi dal conte, ove egli si rammarica della disastrosa situazione in cui versa il patrimonio della provincia. Una condizione, a sua detta (esempi alla mano), indotta da ‘amatori’ e «fabbricieri di campagna», che, mossi dalla loro «crassa ignoranza», dalla venalità e dalla pusillanimità, non si rammaricano di spogliare i loro altari per un ritorno economico.10
9 Belluno, Archivio Storico del Comune, Archivi privati, Agosti, famiglia, Lettere pubbliche e di qualificati soggetti 1808‑1914, b. 1523: 29 luglio 1819b.
10 Agosti, Monumenti 1819‑23.
Monumenti, si diceva, intende presentare il contesto storico‑artistico del centro cittadino, permettendoci un’incursione nello ‘stato dell’arte’ all’indomani delle soppressioni napoleoniche e, nel farlo, Agosti usa precisi riferimenti bibliografici, emersi a seguito di un’analisi approfondita del manoscritto stesso (Frescura 2021‑22, 29‑30). Nell’elencare le opere ‘meritevoli di attenzione’ il conte non si fa guidare dal proprio gusto, ma dall’opinione collettiva e storiografica, differenziandosi così dal Giornale, dove emergono chiaramente spunti e commenti personali.
Per quanto riguarda la cronologia, il primo e unico a tentare una datazione di queste carte è stato Massimo De Grassi che nel 2000 si è servito dello scritto di Agosti per avallare la provenienza di una Madonna con Bambino di Jacopo Da Valenza dalla collezione Pagani. Egli sostiene che la data di redazione debba essere necessariamente antecedente alla distruzione del palazzo della ‘Caminata’ (1830) ma posteriore al 1816, anno in cui i dipinti Pagani quattro‑cinquecenteschi emigrarono verso la Germania, non comparendo nei Monumenti alcun riferimento a queste opere (De Grassi 2000, 64).
La lettera d’incarico datata 29 luglio 1819 precisa ora ancora meglio il post quem della stesura del manoscritto, ma è dal confronto tra Monumenti e il Giornale che possiamo fare un ulteriore passo avanti nel circoscrivere la cronologia. Nel Giornale Agosti ci testimonia che in data 4 aprile 1823 acquistò un altarino, da lui attribuito a Matteo Cesa, proveniente da un piccolo tabernacolo fuori la chiesa di San Pietro in Campo, a Sargnano che
Offre nel mezzo N.D. seduta sopra un trono ornato di bassorilievi a chiaroscuro col Divino Infante in braccio. Nei laterali sono effigiati li Santi Pietro e Paolo titolari della detta parrocchia […]. La tavola qui rammentata ha sofferto molto e dal tempo, e dalla cattiva custodia in cui fu tenuta; essendo per molti anni rimasta esposta e avventurata agli scherzi o degl’insolenti o degli ignoranti che quivi passavano.
4 aprile 1823 = In questo giorno lo scrivente ha potuto acquistare il sudto. Altarino dalla Sigra. Elisabetta Sergnani, che n’era proprietaria, e che gentilmente secondò le sue premure tendenti a preservare dalla totale devastazione un monumento interessante per l’arte, e onorevole per la patria.11
11 Agosti, Giornale 1821‑29. L’altarino è oggi perduto, ma sappiamo con certezza che rimane in casa Agosti almeno fino al 1865, anno in cui Cavalcaselle lo schizza nei suoi taccuini di viaggio con attribuzione a Matteo Cesa: «Belluno, Conte Agosti, Virgin and ch. betw. St. Peter and Paul, inscrib.: “Matheus pinxit et intacavit” originally in San Pietro in Campo near Belluno» (Crowe, Cavalcaselle 1871, II: 171).
Lo stesso altarino viene poi usato, in Monumenti, come confronto per sostenere l’ipotesi che l’altare ligneo ubicato nella chiesa di Santo Stefano, alla destra dell’altar maggiore, sia opera di Matteo Cesa.12 Sapendo la data esatta di acquisto, possiamo dunque dire che la stesura del manoscritto è ascrivibile a un arco temporale di almeno quattro anni, compreso tra il 1819 e il 1823; Santo Stefano è l’ultima chiesa cittadina visitata dal conte che passa poi alla descrizione, in una sintetica pagina, delle chiese ubicate nei ‘distretti’ di Sedico, Mel e Lentiai, facendo ipotizzare che probabilmente nello stesso 1823 abbia consegnato la relazione dal titolo Belle Arti. Oggetti più rimarcabili nella Città e Distretto di Belluno. Architettura, Pittura, Scultura.
12 Agosti, Monumenti 1819‑23.
Prendendo in considerazione ora il Giornale, già dal titolo Agosti ci trasmette chiaramente il significato del manoscritto: nasce per ‘diletto’ personale, senza fini divulgativi, al fine unico di raccogliere le ‘memorie’ delle emergenze artistiche che si potevano allora incontrare sul territorio provinciale bellunese. La volontà, infatti, non era quella di rendere pubblico questo taccuino, ma di usarlo come strumento di studio e di confronto privato, nato dalla penna di un ‘dilettante’ e destinato a rimanere esclusivamente di proprio godimento. Pur non palesata, quest’intenzione si deduce, oltre che dal titolo, sfogliandone le pagine: i commenti sono personali e acuti, alle volte presentano una vena polemica e soprattutto la genesi del procedimento attributivo risulta di difficile inquadramento in relazione alla bibliografia di riferimento.
Si può circoscrivere la stesura del quaderno tra il 1° aprile del 1821, data in cui si trova a Visome per visitare quella che oggi è conosciuta come la chiesa della Beata Vergine di Caravaggio, e il 1829, anno in cui a Canale d’Agordo si reca nella chiesa di San Simone. In realtà, la maggior parte delle tappe sono annotate tra il 1821 e il 1823, con una parentesi agordina al 1829, ma va sottolineato che dopo il 1823 alcune ricognizioni non sono datate (Feltre, Pedeserva, Visomelle, Sedico e Mussoi), lasciando di fatto spazio a un arco temporale di sei anni in cui potrebbe essersi recato in questi luoghi.
Le opere che vengono citate nel manoscritto sono realizzate tra la fine del XIV secolo (limitatamente a Simone Da Cusighe) e il XVI secolo – con una veloce puntata al XVIII secolo con Angelo Cimador, gloria agordina locale. In particolare, pare significativo segnalare come Agosti ponga l’attenzione sui ‘primitivi’ bellunesi – Simone Da Cusighe, Matteo e Antonio Cesa e Antonio da Tisoi – al tempo ancora poco studiati e conosciuti anche dai grandi storici bellunesi, che viceversa accennano alle loro biografie solo di sfuggita e con latenti incertezze. Ovviamente non manca di citare quelle che per lui erano, esplicitamente, le glorie patrie: Nicolò De Stefani, i Frigimelica e i Vecellio (Agosti 1833, 11); ma ciò non costituisce per contro una novità per l’epoca, poiché questi pittori vengono indagati anche da altri studiosi contemporanei, garantendoci quantomeno dei confronti attributivi.
Analizzando il manoscritto, si evincono quali fossero le questioni che in quest’ambito più stavano a cuore al bellunese – le attribuzioni, le datazioni e lo stato di conservazione delle opere – e quali fossero le ragioni delle sue ricerche, profilandolo come un cultore d’arte attento, seppur provinciale. Anch’egli apparteneva infatti a quella cerchia di intellettuali ottocenteschi che avevano una conoscenza minuziosa del patrimonio locale, arricchita da studi d’archivio, ma limitata appunto alla loro ‘provincia’, imprescindibili comunque per una ricognizione su vasta scala del patrimonio nazionale (Levi 1988, 117).
A testimonianza di questo suo interesse, descrive ad esempio, tra gli altri, quello che è oggi noto come Polittico di Sargnano, visto lo stesso 4 aprile 1823 nella «Chiesa di Sergnano, ora Parrocchiale sussidiaria di S. Pietro in Campo».13 Sull’unico altare di questa piccola parrocchiale era collocato un pregiato polittico ora attribuito a Matteo Cesa, databile al 1490 circa (Sartor 2004, 190‑7), che per la prima volta viene considerato in letteratura proprio da Agosti, sebbene ascrivendolo erroneamente a Simone Da Cusighe.14
13 Agosti, Giornale 1821‑29.
14 Si segnala che un’analisi approfondita dell’opera è stata recentemente condotta da Mattia Vinco (2024).
Non pare inoltre un caso il fatto che il manoscritto si apra con una tavola di Antonio Cesa, di cui Agosti riporta meticolosamente le iscrizioni e la firma, avvicinandola alle opere di Giovanni Da Mel e Antonio Rosso,15 dimostrando la conoscenza di tutti questi artefici che si possono ritenere cardini della scuola bellunese tra XV e XVI secolo.
15 Agosti, Giornale 1821‑29.
La figura di Agosti‑cultore d’arte si è rivelata essere fulcro di stimoli e innovazioni, anche grazie al ruolo politico di primo piano che di certo poteva aver facilitato tangenze con l’élite culturale veneziana, garantendo un aggiornamento all’eruditismo locale ancora dominato da figure ibride di cultori‑collezionisti attente esclusivamente al perimetro provinciale.
Ecco che, dopo aver delineato il profilo di Agosti ‘dilettante’ d’arte – come egli stesso si definiva – è essenziale considerare anche il suo gusto collezionistico, non limitato a testimonianze quattro‑cinquecentesche ma che permette un excursus sulla storia dell’arte veneta dal XV al XIX secolo.
4 Antonio Agosti collezionista
Da quanto finora delineato, si sospetterebbe a malapena l’esistenza della collezione della famiglia Agosti. La mancanza di documenti che permettano una catalogazione della raccolta ha reso complesso l’inquadramento della stessa: non è stato rintracciato un inventario che ne descriva la consistenza e nemmeno il testamento di Antonio, che di certo avrebbe garantito ulteriori affondi sul patrimonio familiare. Si è dunque reso necessario procedere per via indiziaria confrontando quanto Agosti riferisce di possedere con le testimonianze ottocentesche, in particolare ciò che della raccolta schizza Giovanni Battista Cavalcaselle durante il suo soggiorno bellunese del 1865, unica scarna testimonianza di come doveva presentarsi nella seconda metà del secolo.
Il nucleo originario si deve già alla volontà del padre di Antonio,16 Giuseppe, che, dilettandosi in pittura, mise insieme un primo gruppo di opere da lui realizzate, come ci riferisce Giuseppe Pagani Cesa (1836, 8). L’unica altra notizia contemporanea relativa alla raccolta ci viene data dall’erudito locale Florio Miari, il quale riferisce che:
16 Enrico Colle (1985, 66) ritiene che un primo nucleo di opere fosse stato raccolto già dal nonno di Antonio, Francesco, primo membro della famiglia a essere ascritto al Consiglio dei Nobili di Belluno nel 1759.
Le famiglie de’ Signori Fulcis e de’ Signori Co. Agosti possedono ciascheduna una pregevole collezione di quadri di scelti autori.17
17 Belluno, Biblioteca Civica, Florio Miari, ms 512. Il manoscritto non è datato.
Citando unicamente queste due raccolte, Miari testimonia di fatto che, con tutta probabilità, nella prima metà del XIX secolo il pregio della collezione Agosti era eguagliato soltanto da quella dei marchesi Fulcis.
È ad Antonio che spetta l’arricchimento della raccolta familiare, anche grazie ai contatti sviluppati con l’élite intellettuale veneziana (su tutti Cicognara) e al continuo dialogo con eruditi e collezionisti locali. Per ora non è stato possibile identificare dove e come Agosti acquisisse le opere e gli indizi di accrescimento della stessa ci vengono in primo luogo da quanto lui, nei suoi manoscritti e nei testi a stampa, ci riferisce di possedere.
Come anticipato, la prima opera che dice esplicitamente di acquistare è l’altare di San Pietro in Campo, mentre la successiva testimonianza diretta inerente alle sue proprietà risale al 14 agosto 1830, giorno in cui pubblica un trafiletto sulla Gazzetta di Venezia dedicato a Girolamo Moech, pittore bellunese suo coetaneo, dove ricorda come fossero «pur degni di particolare menzione i quattro paesaggi dipinti ad olio sulla tela per la nobile famiglia Agosti di Belluno» (Agosti 1830), anche questi sfortunatamente andati perduti. Ad ogni modo, questa menzione aggiunge quattro dipinti al catalogo della collezione Agosti, garantendoci un ulteriore passo avanti nella complicata ricostruzione della raccolta.
Il 1831 è l’anno del viaggio gratulatorio a Roma per omaggiare papa Gregorio XVI e dunque quello della redazione del Diario Ristretto. In questo manoscritto Agosti riferisce che il pontefice regalò alla Delegazione «la raccolta di tutte le opere di Canova in foglio grande […] riposte in elegante cartolari di marocchino verde con ornamenti dorati» (Agosti in Da Borso 1965, 34), oggi confluite nelle raccolte del Museo Civico di Belluno e ancora conservate nella loro custodia originale (Lucco 1989, 26).
L’ultima testimonianza diretta di opere possedute, sempre datata, è legata invece all’Elogio di Brustolon, che senza dubbio consacra la famiglia Agosti come una delle maggiori collezioniste dello scultore (De Grassi 2009, 355‑8). Agosti infatti scrive che:
molto lodevoli […] sono poi li modelli che per suo studio o per altrui vaghezza eseguiva soltanto in creta, nei quali spicca mirabilmente il suo ingegno […]. Fra i molti che si conservano anche presso la mia famiglia, vuolsi particolarmente lodare un Fetonte precipitato dal carro, un’Angelica esposta al mostro marino, e liberata per opera di Ruggiero che cavalca l’Ippogrifo, ed un san Girolamo nel deserto spaventato al suono dell’angelica tromba. (1833, 22)
Passate in rassegna le scarne attestazioni che ci vengono da Agosti stesso, non si trovano negli scritti coevi notizie che descrivano la consistenza della collezione sulla falsariga di quanto fatto da Antonio in Monumenti. Bisognerà attendere il 1865 per un’ulteriore testimonianza, con il sopralluogo in casa Agosti di Giovanni Battista Cavalcaselle. Il conoscitore, infatti, nelle sue ricognizioni bellunesi volte alla stesura della History of Painting in North Italy visitò anche il palazzo della famiglia, annotando le emergenze artistiche quattro e primo‑cinquecentesche ivi conservate, schizzando quando secondo lui meritevole di particolare attenzione.
Nei primi fogli dedicati alle opere in casa Agosti, Cavalcaselle schizza i frammenti del ciclo pittorico della ‘Caminata’18 e, sul verso della stessa pagina, altre tre opere che permettono di aggiungere tasselli al catalogo della collezione [figg. 2‑3].19
18 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. IV 2031 (=12272), fasc. I, cartella A, ff. 11v‑12r.
19 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. IV 2031 (=12272), fasc. I, cartella A, ff. 12v‑13r.


Figura 2 Giovanni Battista Cavalcaselle, Disegni di opere viste in collezione Agosti. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle, It. IV 2031 (=12272), fasc. I, cartella A, f. 12v. Su concessione del Ministero della Cultura – Biblioteca Nazionale Marciana. Divieto di riproduzione
Figure 3 Giovanni Battista Cavalcaselle, Disegni di opere viste in collezione Agosti. Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle, It. IV 2031 (=12272), fasc. 1, cartella A, f. 16r. Su concessione del Ministero della Cultura – Biblioteca Nazionale Marciana. Divieto di riproduzione
È per la «tela a tempera»20 che Cavalcaselle spende più parole, annotando la composizione e la cromia, a suo avviso ascrivibile a Giovanni Speranza oppure a Bartolomeo Montagna giovane, in una delle sue prime opere. Al centro è inquadrata la Vergine con il Bambino seduto sopra un cuscino bianco, appoggiato su di un parapetto, mentre sulla sinistra, in basso, è ritratto un generico donatore. Alle spalle della Vergine si può vedere una «tenda oro con ricami» che divide la scena in primo piano dal paesaggio sullo sfondo, divisione accentuata da un ulteriore parapetto posto dietro la tenda. Il devoto in basso tiene nella mano destra un rosario mentre con la mano sinistra «il vecchio tiene la mano del putto che benedice e la bacia», il Bambino è con la «fronte alta» mentre il viso della Vergine è «dolce e regolare» (Crowe, Cavalcaselle 1871, II: 422‑3). L’opera disegnata è la Madonna con Bambino e donatore schedata nel catalogo della Fototeca Zeri con attribuzione a Francesco Verla, ma in passato già ascritta a Bartolomeo Montagna e a Giovan Francesco Maineri [fig. 4].21 Il dipinto si trova oggi presso la Galleria Strossmayer degli Antichi Maestri di Zagabria, dove è data a un generico pittore italiano della prima metà del XVI secolo (Dublic, Tržec 2018, 301, 343) ed è cromaticamente e iconograficamente identico a quanto visto da Cavalcaselle: dirimenti in questo senso sono gli incroci tra le mani del bambino e quelle del donatore, perfettamente corrispondenti, che si intrecciano tra il bacio dell’anziano donatore e le tre pere tenute in mano dal Bambino. Anche il cuscino, «bianco con le righe», è lo stesso, inducendo a credere che si tratti dell’opera già in collezione Agosti.
20 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. IV 2031 (=12272), fasc, I, cartella A, ff. 12v‑13r.
21 Catalogo Fototeca Fondazione Zeri: nr. scheda 12366 (https://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/24569/Verla%20Francesco%2C%20Madonna%20con%20Bambino%20e%20donatore). L’opera è stata espunta del catalogo di Verla da Ivana Gallazzini (2017, 198).

Figura 4 Pittore vicentino degli inizi del XVI secolo, Madonna con Bambino e donatore. Tempera su tavola, 60 × 49,6 cm. Zagabria, Galleria Strossmayer
Nel proseguire la schedatura di opere ‘primitive’ della collezione bellunese, Cavalcaselle dedica un rapido schizzo, orientato in senso contrario rispetto al resto del foglio, a una Madonna con Bambino firmata da Bartolomeo Vivarini.22 Dal disegno si intuisce essere una tipica composizione di scuola veneta fine‑quattrocentesca con la Vergine che tiene il figlio in braccio, davanti si vede un parapetto con cartiglio e firma mentre alle spalle una finestra è aperta su un paesaggio. Come di consueto, riporta alcune osservazioni a lato:
22 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. IV 2031 (=12272), fasc. I, cartella A, ff. 15v‑16r.
Madonna con bambino tenuto nelle braccia. Il bambino guarda la madre. Si tiene con mano al manto della Madre (il quale manto azzurro tutto ripassato a nuovo è opaco e scuro) e tiene, il detto bambino, l’altra mano al suo petto. Aspetto color olivastro.23
23 Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. IV 2031 (=12272), fasc. I, cartella A, ff. 15v‑16r; cf. Crowe, Cavalcaselle 1871, II: 47‑8: «Belluno, wood, inscribed on a card fast. to a parapet “…meus de Muriano pi…..148.” Behind the parapet, the half‑length Virgin with the infant in her arms, and to the left an open window with a landscape; a pleasing group imperfectly rendered».
In più, disegna un ingrandimento del cartiglio con la firma: «Bartholomes Vivar | INVS DE MURIAN PI 148 ?», segno che evidentemente la tavola doveva averlo colpito proprio per questa iscrizione.24
24 Anche Lucia Sartor (2004, 194‑6) riferisce di questo schizzo specificando che nulla è dato sapere circa la provenienza.
Sappiamo, inoltre, che la collezione Agosti poteva fregiarsi di una tavola di questo importante pittore veneto anche grazie a un’ulteriore conferma: quella di Lorenzo Seguso, architetto veneziano in contatto con l’élite culturale locale della seconda metà dell’Ottocento. A lui si deve la prima monografia dedicata a ‘Bartolameo’ Vivarini, pubblicata a Venezia nel 1878, in cui cataloga in ordine cronologico le pitture firmate e datate del pittore. In questa biografia include anche la tavola sita in Belluno nella «Galleria del Conte Agosti» firmata «Bartholomeus de Muriano Pinxit 148…148…?» (Seguso 1878, 10).
È proprio grazie alla firma che è ora possibile ricondurre lo schizzo a una tavola conservata al Museo Statale di Belle Arti S.A. Puškin, rappresentante appunto una Madonna con Bambino (inv. 112).25 Il modo in cui viene riportato il cognome – identico anche nel punto in cui la scritta va a capo – così come il nome «Bartholomes» e non «Bartholomeus», l’abbreviazione di pinxit in «pi» e l’ultima cifra della data difficilmente leggibile, sono più che un indizio di tangenza tra opera e disegno, ma se ciò non bastasse ci viene in aiuto la composizione. Al di là della posizione dei due soggetti, la finestra che dà su un ‘paese’ mentre la scena si svolge all’interno aiuta nell’identificare la corrispondenza, che viene ulteriormente ribadita dal combaciare cromatico con quanto descritto dal Cavalcaselle.
25 Per una riproduzione dell’opera si rimanda a http://www.italian‑art.ru/canvas/15‑16_century/v/vivarini_bartolomeo/madonna_and_child_4/index.php?lang=it.
È dal catalogo del Museo Puškin che troviamo però la chiave che lega l’opera e il disegno, aggiungendo alcune notizie storico‑critiche. La tavola venne acquistata in Italia tra il 1886 e il 1898 presso l’antiquario Ongania in piazza san Marco da D.A. Chomjakov e da quest’ultimo donata nel 1901 al Museo Rumjancev, le cui opere confluirono in parte nel Museo Puškin nel 1923, con attribuzione a Bartolomeo Vivarini (Markova 2002, 126‑8).26 Dal catalogo si evince un’informazione che, ai nostri fini, è considerevole: viene riferito che sul retro del dipinto è presente un sigillo di ceralacca rossa da cui emergono le iniziali «AA», di origine sconosciuta. È evidente, dunque, che il Vivarini di Mosca non può che essere quello già in collezione Agosti se, come si crede, le iniziali sono quelle di Antonio Agosti.27
26 Nel corso del Novecento l’attribuzione della tavola è oscillata tra la scuola di Giovanni Bellini, Jacopo da Valenza e, appunto, Bartolomeo Vivarini; Federico Zeri si espresse, oralmente, a favore dell’attribuzione alla bottega di Bartolomeo Vivarini. Per la bibliografia precedente si rimanda a Markova 2002.
27 Grazie alla dottoressa Viktoria Markova, ho potuto verificare l’effettiva presenza del sigillo di ceralacca rosso sul retro della tavola. Il sigillo è caratterizzato dall’incrocio di due A, incorniciate a loro volta da una trama a treccia.
Carlo Cavalli mi ha segnalato che presso il Museo Civico di Palazzo Fulcis di Belluno è conservato un dipinto attribuito a Marianna Corte (MCBL 675) con il medesimo sigillo sul retro. L’indiziaria provenienza Agosti della tela in questione (Vizzutti 1985, 163), permette di legare allo stesso nucleo collezionistico i due dipinti in questione.
Come sia passata da Belluno alla bottega antiquaria di Ongania, sotto le Procuratie Nuove in piazza San Marco, è difficile dirlo, ma presumibilmente si inseriscono in questa storia i Piloni con la vendita della loro biblioteca proprio a Ongania (Grazioli 1999, 20‑6). È forse in questo scambio tra cultori, collezionisti e antiquari tra Belluno e Venezia che si può leggere l’acquisizione da parte di Ongania dell’opera già Agosti, ipotesi resa possibile dalla corrispondenza cronologica con quanto riportato nel catalogo del museo russo.
Altre opere vengono schizzate nei taccuini cavalcaselliani – tra gli altri: dei frammenti di opere con teste di Angeli (Fossaluzza 2003, 57, 63, 78), i ritratti di Cesare e di Paolo Piloni, una tavola di Nicolò de Stefani – che permettono di descrivere la consistenza della raccolta e che tracciano il profilo di un collezionista attento soprattutto alle emergenze d’arte locali.
Poco prima della ricognizione cavalcaselliana Antonio muore, lasciando la collezione in mano ai suoi figli Francesco (1822‑1879) e Luigi (1824‑1875). In questo senso, la visita di Cavalcaselle si rivela particolarmente significativa in quanto è tra gli ultimi a poter vedere la raccolta nella sua totalità, dopodiché, già nella prima metà degli anni Settanta inizia una progressiva e sistematica vendita dei pezzi più prestigiosi sul mercato veneziano, che comporterà un quasi totale smembramento del nucleo.
La prima testimonianza successiva alla morte di Antonio l’abbiamo nel 1871, quando Francesco allestisce quattro pezzi della sua collezione nell’Esposizione Provinciale di Belluno, a tutti gli effetti la prima mostra organizzata in provincia, in cui i collezionisti locali potevano esporre i gioielli delle loro raccolte (cf. Guernieri 1874). Per un’ulteriore menzione di opere Agosti esposte dobbiamo però sfogliare i cataloghi delle rassegne bellunesi di metà Novecento.
È il caso della Mostra d’Arte Antica, dipinti della Provincia di Belluno dal XIV al XVI secolo, curata nel 1950 da Francesco Valcanover, nel cui catalogo viene presa in considerazione come termine di paragone per la pala di Pietro Marescalchi nella chiesa di Sedico una Madonna tra due santi del medesimo autore conservata in collezione Agosti (Valcanover 1950, 33) [fig. 5]. La tela già Agosti venne studiata da Fiocco sin dal 1929, anno in cui riferisce appartenere al «conte Agosti di Treviso, di provenienza bellunese» (Fiocco 1929, 211‑22; 1947, 37‑41) e più recentemente Bagolan, nella monografia dedicata al pittore feltrino, conferma questa provenienza aggiungendo che dopo la Seconda guerra mondiale l’opera sembrava dispersa ma riapparve nelle raccolte del Museo Civico di Feltre nel 1957, dove è tuttora conservata (Bagolan 1993, 243).

Figura 5 Pietro Marescalchi, Sposalizio mistico di santa Caterina e san Tiziano. Olio su tela, 76 × 103 cm. Feltre, Museo Civico (già collezione Agosti). Venezia, Fondazione Giorgio Cini. ©Fototeca dell’Istituto di Storia dell’Arte, Fototeca Regionale
Quattro anni dopo, nel 1954, Valcanover cura l’ultima grande rassegna cittadina dei primi anni Cinquanta dedicata alla pittura settecentesca di matrice bellunese (Valcanover 1954), in cui addirittura trentacinque opere provenivano dalla collezione Agosti, segno che il nucleo principale della stessa era forse costituito proprio da testimonianze di pittura veneta – e principalmente locale – di pieno Settecento. Le opere allestite, prestate dalle sorelle Francesca e Maria Angela Nicolis – con la specifica «già collezione Agosti» –, sono dodici tele di Marco Ricci, quindici di Giuseppe Zais e otto di Gaspare Diziani. La facilità nel reperire questo genere di testimonianze, sommata a una preferenza estetica, garantì nel primo Ottocento un grande successo tra i collezionisti locali di queste pitture, di cui la raccolta Agosti è forse la più ricca.
Per ultima, la più recente testimonianza espositiva di opere Agosti risale al 2009 quando vengono prestate quattro terrecotte di Andrea Brustolon per la mostra retrospettiva a lui dedicata (De Grassi 2009, 355‑8) – due delle quali corrispondenti a quanto nel suo Elogio all’artista Antonio dice di possedere, ossia Eolo e Prometeo e il San Girolamo riscosso dall’angelo (Agosti 1833, 22).
Il catalogo finora stilato è tuttavia solo parziale: la raccolta doveva essere certamente più consistente, ma già un ventennio dopo la morte di Antonio gli eredi iniziarono lo smembramento della collezione, diventato poi definitivo e sistematico un secolo dopo.
Per un’ulteriore testimonianza di opere Agosti sul mercato veneziano sarà da attendere il 1900, quando Cesare Augusto Levi, nel suo volume dedicato alle collezioni d’arte veneziane, ci informa che sei opere acquisite dalle Gallerie dell’Accademia provenivano dalla famiglia Agosti: tre tele di Marco Ricci e tre pastelli di Rosalba Carriera (Levi 1900, 201).
Nel caso dei tre pastelli di Rosalba Carriera è ormai assodato che l’informazione non è degna di fede,28 situazione diversa invece per le tre tele di Marco Ricci, che provenivano in effetti dalla collezione Agosti. Le opere rappresentano Diana e Atteone [fig. 6], il Ratto di Europa [fig. 7] e un Paese con torrente: l’ultima scena di paesaggio è probabilmente del Ricci, essendo un soggetto tipico del suo repertorio; le altre due tele sono invece da identificare con quelle di medesimo soggetto attribuite ora a Giambattista Tiepolo. La provenienza di questi due dipinti dalla famiglia Agosti viene confermata anche dal catalogo delle Gallerie, che ne riconduce al 1898 l’acquisto presso il nipote di Antonio, Francesco. Sappiamo inoltre dell’esistenza di una terza tela di Tiepolo in collezione Agosti nel 1829 documentata da un disegno di Paolo De’ Filippi che la ricopia, come riportato dalle iscrizioni che corrono lungo il margine inferiore.29
28 Per le informazioni circa la provenienza dei pastelli di Rosalba Carriera desidero ringraziare Valeria Poletto, curatrice del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie dell’Accademia.
29 «Gio. Batt. Tiepolo inv. e dip., L’originale esiste presso la Famiglia Agosti di Belluno, Paolo de Filippi disegnò dall’originale» (Lucco 1989, 24, 38); nr. inv. 6994. Il dipinto è segnalato nella Collezione Mrs. W. Crane nella fototeca di Federico Zeri (scheda nr. 67389: https://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/scheda/opera/70843/Tiepolo%20Giovanni%20Battista%2C%20Apollo%20e%20le%20Muse).

Figura 6 Giambattista Tiepolo, Diana e Atteone. Olio su tela, 100 × 135 cm. Venezia, Gallerie dell’Accademia, cat. 440 (già collezione Agosti). © G.A.VE ‑ Archivio fotografico, foto Intraprese fotografiche, 2020. Su concessione del Ministero della Cultura. Divieto di riproduzione

Figura 7 Giambattista Tiepolo, Ratto di Europa. Olio su tela, 100 × 135 cm. Venezia, Gallerie dell’Accademia, cat. 435 (già collezione Agosti). © G.A.VE ‑ Archivio fotografico, foto Intraprese fotografiche, 2020. Su concessione del Ministero della Cultura. Divieto di riproduzione
Altre due tele tiepolesche di soggetto mitologico, rappresentanti Apollo e Marsia e Diana con le ninfe scopre la gravidanza di Callisto, sono ora conservate al museo veneziano e hanno allo stesso modo una provenienza bellunese, dalla contessa Agata Capponi. Questa comune derivazione bellunese per tutte e quattro le tele, così come la loro quasi esatta corrispondenza dimensionale, ha fatto supporre che il ciclo fosse a decorazione di un unico palazzo nobiliare cittadino, presumibilmente quello Agosti, e poi smembrato per la vendita alla fine dell’Ottocento.
Sempre nel periodo a cavallo tra Otto e Novecento, Francesco decide di donare al neonato Museo Civico di Belluno la parte della collezione di interesse meramente civico: è così che confluiscono al museo tutti i disegni di Brustolon posseduti dalla famiglia (Galasso 2009, 46‑56) – oltre al bozzetto della pala della Crocifissione –, così come le stampe canoviane donate da papa Gregorio XVI ad Antonio ma, soprattutto, vengono donati tutti i frammenti della decorazione della ‘Caminata’, garantendone la pubblica fruizione in una parziale ricostruzione del ciclo (Zanon, Protti 1910).
Dunque, così come Antonio aveva acquisito queste testimonianze d’arte locale per salvaguardarle dalla dispersione, così il nipote Francesco le restituì alla fruizione pubblica con la donazione al museo, proseguendo idealmente la meritoria attività del nonno.
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