Confrontarsi con l’assenza
Nuove prospettive di ricerca e di visualizzazione di un dimenticato museo a cielo aperto della Roma del Rinascimento
Abstract The city is a set of arbitrary visual experiences dispersed in time that must necessarily be integrated. In studying the absences, Bruno Toscano writes that “the city would appear to us in a less verisimilar facies if we resigned ourselves to consider it forever amputated of the missing parts just because they are missing”. The comparison with an evanescent patrimony such as the painted facades in Renaissance Rome imposes a methodological reflection on various fields of application. The loss could instead open up research perspectives and propose new ways of restoring the memory of the genre. The ambition is to make usable again an aspect of Renaissance Rome in its sedimentation and specificity as an object of vision and reconstruction and as a specific field of Digital Humanities.
Keywords Digital Humanities. History of art. Italian Renaissance. Virtual heritage. Urban environment.
1 Introduzione
«Il pur ricco e vario universo preso in considerazione dalla ricerca storico-artistica non è che la parte superstite di una originale totalità» sostiene Bruno Toscano (1998, 15), un limite che emerge assai più chiaramente quando si affrontano patrimoni artistici caratterizzati dall’assenza, il cui studio rende spesso problematica una ricerca che abbia ambizioni di esaustività. L’approfondimento del tema delle facciate dipinte a Roma nel Rinascimento, – diffusa usanza di decorare i prospetti di case e palazzi a graffito o ad affresco tra XV e XVI secolo a opera di importanti come di sconosciuti artisti dell’epoca – risente dell’evanescenza dei suoi esiti e della scarsezza delle fonti che troppe volte ne hanno limitato analisi e letture critiche più ampie come anche la diffusione della sua conoscenza. La perdita, in questo caso, è senz’altro una delle cause dell’impossibilità di comprensione totale del fenomeno che è, per sua natura, non solo decorativo ma anche architettonico, urbanistico e sociale. Mancano, infatti, approfondimenti che collochino il discorso critico sui prospetti decorati in una riconoscibile costellazione storico-artistica e in una più vasta prospettiva macro-culturale. Sono insomma pochi gli studi che lo considerano una preziosa occasione per osservare, partendo da un genere non centrale ma ricchissimo d’implicazioni, aspetti rilevanti della vita artistica tra Quattrocento e Cinquecento con le sue connessioni sociali, culturali, tecniche e ideali. Nonostante la qualità tecnica e artistica e la presenza di importanti artisti e committenti che si sono misurati con la decorazione dei prospetti e nonostante la sua ampia diffusione,1 le fonti storiche2 e la trattatistica d’arte di fine Cinquecento3 non sono sufficienti per una ricostruzione della Roma picta. Una situazione che non solo ha causato un vuoto bibliografico ma anche una scarsa consapevolezza dell’importanza e dell’esistenza di quel patrimonio cinquecentesco tra i non addetti ai lavori.
Questo articolo è in parte tratto dalla mia tesi di dottorato intitolata «La città più ornata di tutto il mondo». Facciate decorate a Roma fra XV e XVI secolo, sostenuta il 9 febbraio 2016 presso l’Università Ca’ Foscari Venezia.
1 «Il numero di duecento a Roma da qualcuno proposto, a me personalmente non convince per niente, sono convinto che erano molte di più» (Toscano 2000, 62).
2 Tra le fonti storiche si citano, oltre alle Vite di Giorgio Vasari, anche le testimonianze seicentesche di Giulio Mancini (1628), Gaspare Celio (1638), Giovanni Baglione (1642) che riportano, oltre a preziosi elenchi di case decorate a Roma anche alcuni dei loro artefici.
3 Il riferimento va in primo luogo ai trattati di Giovanni Paolo Lomazzo (1590), Romano Alberti (1585), Giovan Battista Armenini (1587).
Le prime perdite delle decorazioni su facciata si registrano già a partire della fine del XVI secolo4 ed è proprio dalla metà del Seicento che si verifica una sorta di amnesia che andrà di pari passo con i primi cedimenti di un patrimonio che si farà sempre più frammentario.
4 Federico Zuccari, in anticipo su tutti, definisce quelle decorazioni «in pericolo di perderli e dal tempo annullarsi» (Alberti, Zuccari 1604, 7) invitando i suoi allievi dell’Accademia a copiare e riprodurre quel patrimonio.
I riferimenti alla Roma picta svaniranno insieme alle sue tracce materiche progressivamente fino agli inizi dell’Ottocento. Tra il XVIII e gli inizi del XIX secolo, infatti, studi, commenti, testi, ricordi o interventi su ciò che rimaneva della Roma picta sembrano mancare, tranne un discreto interesse da parte del mondo degli artisti alla ricerca di modelli pittorici del passato.5 Una dimenticanza imputabile alla progressiva svalutazione della pratica artistica, al cambiamento di gusto, alla mancanza di studi e interessi, a una nuova idea di magnificenza e di decorazione della città, alla difficoltà di osservazione di quelle opere d’arte poste troppo in alto e in vicoli stretti per essere scovate, ma anche al repentino sbiadire delle decorazioni che provocarono l’accelerazione del distacco emotivo di cui stiamo parlando.
5 Il silenzio bibliografico della seconda metà del Seicento fino a tutto il XVIII secolo non aveva scalfito l’ammirazione di Cherubino Alberti, di Joseph Heintz e di Pietro da Cortona. Tutti talmente affascinati da quel repertorio da continuare a copiarlo e a studiarlo nonostante la sua progressiva rovina.
Le perdite e i vuoti artistici, nota Bruno Giordano, sono quasi sempre legati a
catastrofi naturali […] fasi di trasformazione politica […] religiosa […] infine le oscillazioni del gusto, che spesso procedono per drastiche selezioni di modelli esaltando ma anche escludendo, favorendo l’apprezzamento e, d’altra parte, provocando svalutazione e oblio, sempre rivelandosi anch’esse fattori di conservazione e di reviviscenza oppure di obsolescenza e di distruzione. (1998, 19‑22)
Il caso delle facciate dipinte sembra ricadere su quest’ultimo punto come anche sulla responsabilità imputabile al tempo trascorso. Francesco Milizia, ad esempio, fornisce la prova di una certa svalutazione della tecnica del graffito nel XVIII secolo, una delle più utilizzate per la decorazione dei prospetti cinquecenteschi.6 La voce «sgraffito» contenuta nel suo Dizionario delle belle arti descrive, infatti, un genere «disaggradevole alla vista» (Milizia 1827, 486). Fu solo nell’Ottocento che si prestò nuovamente attenzione a quell’aspetto artistico della Roma rinascimentale che tempo e incuria avevano messo al bando: grazie a una nuova sensibilità nei confronti dei problemi legati alla conservazione del patrimonio artistico e alla vigilia di Roma Capitale, si tornerà a parlare di facciate dipinte, ma in tutt’altri termini. Al posto dei trattati d’arte e delle biografie degli artisti compariranno le condanne nei confronti di chi continuava a permettere la distruzione dei pochi esiti sopravvissuti; al posto delle descrizioni delle facciate dipinte, del repertorio iconografico scelto, della tecnica e dello stile si affermerà che «ciò che ancora si conserva risulta irrisorio in confronto a quanto è andato perduto» (Burckhardt 1952, 319, 1). Nonostante tutto però la strage pittorica continuò. Complice anche l’avvicinarsi di Roma Capitale e i relativi piani urbanistici, molti piccoli edifici rinascimentali, alcuni dei quali decorati al loro esterno, sparirono per sempre. Anche le demolizioni quindi, avviate per far spazio ai nuovi assi stradali della Roma postunitaria, entreranno presto a far parte della lista dei colpevoli insieme al tempo, all’incuria, a infelici scelte di ristrutturazione e ai cambiamento di gusto.
6 Della tecnica dello sgraffito Giorgio Vasari scrive che «non serve ad altro che per ornamenti di facciate di case e palazzi» (1971, 201).
2 Le ICT per la ricostruzione di patrimoni scomparsi
Per la riscoperta di un patrimonio per lo più scomparso bisogna rievocare almeno il suo ricordo. La memoria della Roma picta è un insieme di ‘punti di vista’: lacerti, restauri, riproduzioni, testimonianze coeve, narrazioni di viaggiatori, di trattatisti, di artisti, cronisti, passanti. La sua labilità obbliga a misurarsi con l’aspetto soggettivo del suo passato stratificato nel tempo e nelle prospettive culturali e lascia la traccia di esperienze visive disperse, arbitrarie che, nella loro integrazione, possono farsi insieme racconto di un genere e di un’eredità. Proprio perché legato a un fenomeno in cui aspetti microstorici e macrostorici si fondono con sorprendente evidenza, la ricerca sull’argomento non può esaurirsi nella sua riscoperta o nell’approfondimento della sua genesi e dei suoi caratteri, ma deve anche provare a rendere nuovamente fruibile questo aspetto della Roma rinascimentale nella sua sedimentazione e nella sua specificità come oggetto di visione e di ricostruzione e con uno spettro di questioni metodologiche non trascurabili. La grave perdita della Roma picta potrebbe quindi essere utilizzata per ampliare le prospettive di ricerca su un genere divenuto poco noto anche perché scarsamente leggibile. Si tratta, a una prima approssimazione, di un’operazione di ripristino storico-percettivo che intende restituire una realtà cittadina, così particolare «quanto negletta nella percezione comune» (Calzona 2015, 11): una ricostruzione per immagini di quella galleria a cielo aperto che offrirebbe una visione scalare che dalle singole facciate, attraverso strade e quartieri, finirebbe per offrire un’idea della città seguendo un processo ricostruttivo modulare e integrato in cui la piccola scala svela la grande e viceversa.
La scomparsa appena descritta obbliga quindi a misurarsi oggi con l’aspetto soggettivo e metafruitivo della memoria di soggetti, di tempi e culture diverse, e induce a considerare fonti, lacune e lacerti come testimonianze che vanno necessariamente integrate come immagini in divenire (cf. Danielsson, Jones 2020). L’assenza, scrive ancora Toscano, è
intesa come valore perduto, misto di storia e di arte. La ricerca non può certo presumere di restituirlo, può però far sentire il peso specifico della sua storia interrotta in un quadro di presenze parziali di sopravvivenze. (2006, 3)
Si tratta della volontà di affrontare la storia dell’arte che non c’è (cf. Toscano 1998) senza farsi condizionare dalla loro progressiva scomparsa. Nonostante la scarsezza delle fonti, l’uso di una documentazione grafica e di descrizioni posteriori e a volte imprecise, la variegata eredità del genere potrebbe servire per la costruzione di un suo racconto rielaborato a uso dei contemporanei – oggetto di fruizione, di conoscenza ma anche di riflessione metodologica su un campo di applicazione molto particolare come quello fornito dall’uso delle tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione. Trattandosi di un patrimonio caratterizzato dall’assenza, si propone quindi di interrogare la potenzialità delle moderne tecnologie digitali applicate, dei campi delle Digital Humanities e del Virtual Heritage, non solo nella prospettiva di una ricostruzione più o meno ampia del fenomeno, ma anche di quella legata a una restituzione stratificata e problematica in cui la fruizione non viene schiacciata sull’oggettività della ricostruzione ma viene proiettata in un percorso articolato e, volutamente, irrisolto. L’ambizione è dunque quella di trattare il tema delle facciate dipinte senza farsi troppo suggestionare dalla sua evanescenza, di ripristinarne parte del suo antico splendore e, soprattutto, di facilitare una sua riscoperta tra la popolazione.
Si tratterebbe quindi di un processo di restituzione e ricostruzione che riprenda temi fruitivi assolutamente attuali: che le facciate dipinte siano un fenomeno non solo artistico ma anche urbanistico, sociale e architettonico e, d’altra parte, siano apparati decorativi scomparsi o evanescenti e appartenenti alla sfera pubblica dell’arte, ne fanno un fenomeno particolarmente coerente con l’impiego contemporaneo delle tecnologie digitali. Sono i temi – sempre più spesso applicati ai beni culturali e in particolare ai patrimoni artistici scomparsi e in pericolo – della ricostruzione virtuale, della ricollocazione in situ e del percorso interattivo per cui la Roma picta può essere modello ed esempio: un percorso conoscitivo da ricostruire colmando vuoti fin troppo evidenti e riconsegnando alla città un’immagine, oggi inedita, ma che un tempo le apparteneva e la caratterizzava in maniera tutt’altro che marginale.
L’uso corretto delle tecnologie digitali nel campo storico-artistico presuppone l’uso e la valorizzazione di materiali storico-critici e delle fonti. L’apparato documentario, nella sua varietà e nella sua validità, risulta infatti essere il punto di partenza per il ripristino fruitivo e visivo delle facciate, delle loro decorazioni, delle tecniche e dei soggetti raffigurati. Il riferimento va in primo luogo alle fonti storiche, a chi aveva scritto dei prospetti adornati quando ancora erano tutto sommato visibili, ma anche alle biografie degli artisti che hanno collaborato alla creazione della Roma picta. Di grande importanza sono poi le fonti iconografiche conservate in diversi musei e gabinetti sparsi per il mondo: dagli schizzi e dai disegni preparatori fino alle riproduzioni postume caratterizzate da un vasto repertorio di copie, stampe e incisioni come quelle di Cherubino Alberti [fig. 1],7 Giulio Bonasone, Giovanni Saenredam e di Piero Santi Bartoli o di quelle più tarde di Paul-Marie Letarouilly8 e di Enrico Maccari.9
7 Cf. Fiore 1983; Manescalchi 2007; Pouncey 1962.
8 Letarouilly 1992. L’architetto francese, nato nel 1785 e allievo di Charles Percier, pubblicò il primo volume iconografico di Edifices de Rome moderne nel 1840. Seguirono il secondo volume nel 1851 e il terzo e ultimo nel 1857. I viaggi romani di Letarouilly risalivano al 1820, il primo, al 1830 il secondo allo scopo di completare la sua opera e, per lo stesso motivo tornerà anche nel 1844 quando si fermerà in città per un anno.
9 Cf. Iannoni, Maccari 1876. La raccolta iconografica di Enrico Maccari, iniziata nel 1873 ma apparsa al pubblico tre anni più tardi, si presenta come un tentativo concreto di intervento contro la definitiva perdita della Roma picta. Il suo volume Graffiti e chiaroscuri esistenti nell’esterno nelle case di Roma è un documento di estrema importanza per la ricostruzione delle facciate di Roma e delle loro singole decorazioni. La nascita della raccolta di tavole incise su rame di Maccari è strettamente connessa alla volontà di salvare il salvabile, preservando almeno la memoria delle decorazioni rinascimentali di Roma. Il libro è, infatti, il frutto di un preciso progetto voluto da una commissione apposita che prese l’onere di tutelare quei prospetti anche affidando a Maccari la loro riproduzione.

Figura 1 Cherubino Alberti, copia di un brano decorativo della facciata di Palazzo Milesi. 1576. Incisione
Da non dimenticare, in un racconto che vuole comprendere l’intera vita di un’opera (cf. Failla, Gioli, Piva 2016) e la storia della sua percezione nei secoli, le voci dei cronisti, degli appassionati, dei burocrati ottocenteschi alle prese con un patrimonio divenuto in qualche modo ingombrante ma da tutelare.
Partendo dalle evidenze, dalle descrizioni e dalle riproduzioni delle decorazioni dei prospetti a nostra disposizione, confrontandole e apparentandole tra loro, sistematizzando gli studi e infine collazionando le fonti storiche (bibliografiche e iconografiche) con le analisi scientifiche moderne, si potrebbe riconsegnare un volto e una storia ad alcune facciate in origine dipinte scelte sulla base di criteri che garantiscano soprattutto scientificità e utilizzabilità. La scelta si dovrebbe, infatti, orientare su quegli esempi che conservano, nelle forme possibili di rappresentazione e narrazione, una testimonianza affidabile del loro aspetto passato, in modo che la ricostruzione non aggiunga nulla di intuitivo, approssimativo o suggestivo ma restituisca invece, in modo filologico, l’apparenza originale alle facciate e la loro antica facies picta.
Le potenzialità e gli usi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) applicate all’arte e alla cultura sono stati ampiamente analizzati e spesso utilizzati a fini conservativi, ricostruttivi, fruitivi e di riqualificazione. Fin dagli anni Novanta tecnici e studiosi hanno messo in evidenza alcune caratteristiche dell’interazione tra l’arte e le tecnologie digitali:10 è stato dimostrato che le ICT permettono una diffusione della creatività e della conoscenza attraverso nuove forme di partecipazione innovative, rispondono alle esigenze di diffusione e conservazione e sono potenti strumenti formativi. Inoltre è stata dimostrata la loro importanza nel settore del restauro perché permettono la ricostruzione e la ricollocazione contestuale dell’opera e favoriscono nuove dinamiche di interazione tra opera e spettatore. Sono dunque dei sistemi a supporto della comprensione in grado di ampliare l’esperienza di visita seguendo nuove e diversificate chiavi di lettura.
10 Tra i molti testi esistenti sull’argomento si rimanda in particolar modo a Antinucci 2014; Balkun, Deyrup Mestrovic 2020; Bodard, Mahony 2010; Bonancini 2011; Branchesi, Curzi, Mandarano 2016; Ciotti, Roncaglia 2000; Colosi et al. 2015; Di Stefano 2012; Gaiani et al. 2021; Kalay, Kvan, Affleck 2008; Lévy 1999; Luigini, Panciroli 2018; Mandarano 2019; Martini 2016.
Se uno degli obiettivi del presente studio è rendere nuovamente fruibile quel patrimonio in gran parte perso e per questo poco conosciuto, appare subito chiaro il perché del ricorso a questi strumenti.
Una possibile ricostruzione dell’aspetto originario dei prospetti decorati a Roma durante il Rinascimento deve obbligatoriamente confrontarsi con la specificità di un caso estremamente particolare. Il genere delle facciate dipinte si discosta, infatti, da gran parte dei prodotti artistici solitamente coinvolti nei processi digitali e nelle variegate applicazioni delle ICT: si tratta di una galleria all’aperto, di una città museo dall’aspetto alterato, di un patrimonio caratterizzato dalla seconda dimensione e appartenente alla cosiddetta sfera dell’arte minore. Anche se lo spettro di applicazione si sta ampliando, questo campo disciplinare e progettuale continua a prediligere la rovina che, per sua natura, obbliga a intervenire con ricostruzioni e a essere completata; si punta inoltre su prodotti artistici noti e dal grande seguito e sulla terza dimensione, maggiormente adatta ai processi ricostruttivi. Nel caso di un palazzo e della sua decorazione esterna l’interazione invece cambia: mantenendo apparentemente la sua materialità data dalla struttura architettonica, la facciata non sembra richiedere un’integrazione immediata. Si tratta di una realtà compiuta a cui aggiungere qualcosa, una veste caratterizzata dalla seconda dimensione. Tuttavia, viste le potenzialità di questi strumenti, e ci si riferisce non solo ai molti progetti dedicati alla ricostruzione ma anche al loro potere comunicativo e di diffusione culturale, bisognerebbe, a maggior ragione, coinvolgere diversificate forme artistiche e periodi storici. Trattandosi di potenti ed efficaci strumenti di coinvolgimento e sensibilizzazione, il loro uso sui degradati e spesso dimenticati prospetti di Roma potrebbe riuscire a ridare importanza e nuova vita a patrimoni ignorati ma non per questo di scarso valore culturale e artistico.
3 Modelli e canoni
Numerosissimi sono gli esempi in cui il patrimonio culturale e le ICT si fondono nella ricerca di un nuovo approccio all’arte. Non è questa la sede per ripercorrere la storia degli innumerevoli progetti coinvolti in questa ibrida interazione. Il campo d’applicazione è ormai sterminato ma appare interessante in questa sede guardare a quei progetti che per alcuni versi presentano analogie con l’idea di restituzione della Roma picta che si vuole avanzare. In particolare l’attenzione va al rapporto tra tecnologie digitali ed elemento strutturale della facciata (supporto artistico della Roma picta) o semplicemente i casi in cui l’obiettivo ultimo è il ristabilimento dell’unità potenziale11 di un prodotto artistico caratterizzato dalla seconda dimensione.12
11 Una restituzione di tipo virtuale potrebbe anche rispondere agli assunti della teoria del restauro di Brandi secondo cui il restauro dovrebbe «mirare al ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte, purché ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo» (2000, 34).
12 Un lavoro senza pretese interattive ma il cui fine è quello di riproporre l’aspetto originario dei prospetti dipinti usando la grafica digitale: Facciate dipinte nella Mantova di Andrea Mantegna (Bazzotti, L’Occaso, Vischi, 2009) è un testo con delle schede dedicate ai prospetti della città dipinti nel Rinascimento che contiene un CD in allegato, nato nel 2006 e entrato a far parte della pubblicazione del 2009. La proposta è semplice ma molto efficace: al rendering 3D dell’edificio è aggiunta la veste pittorica originaria seguendo un procedimento che ci invita nuovamente a riflettere sulla dimensione spaziale più appropriata per ricostruire un apparato prettamente decorativo: «l’uso del 3D è limitato ma indispensabile per la corretta restituzione delle parti e per offrire panoramiche geometricamente attendibili. […] Solo dove il materiale ha concesso un accettabile grado di sicurezza, si è passati alla ricostruzione pittorica su tavola dei motivi, successivamente fotografati e montati in una nuova livrea che si sovrapponesse correttamente a quella attuale» (Bazzotti 2013, 67). L’esempio mantovano può dunque essere da guida per ripensare al futuro della Roma picta. Tuttavia, esistono alcuni dubbi riguardo l’effettiva possibilità di ricostruire una trama in via ipotetica mancando, in molti casi romani, una decorazione prettamente geometrica e dunque ripetitiva che ben si presta a delle interpretazioni intuitive. A Mantova, infatti, è stato possibile dedurre i criteri distributivi dei cicli e anche il loro andamento figurativo seguendo un metodo caro a Bruno Toscano che nel suo studio sull’assenza nota che «molto raramente gli studi […] siano accompagnati da rilevamenti interpretativi analitici o rilievi critici […] allo scopo di sondare sistematicamente l’intera latenza nell’edificio e della sua decorazione» (1998, 31).
Per prima cosa è d’obbligo ricordare il nuovo ruolo della facciata nella cultura contemporanea, la cosiddetta estetica del display (cf. Somaini 2005, 8) attraverso la quale i prospetti cittadini, da fulcro della progettazione urbana si trasformano anche in apparati performativi dal grande impatto assorbendo su di se un nuovo tipo di centralità della visione non più legata al suo passato ma al suo uso attuale. Sempre più spesso le facciate delle città, vestite di luci e proiezioni, si mettono al servizio di eventi performativi diventando dei veri e propri schermi: «un’euforia di immagini, prodotte con svariate tecnologie, che ha indotto alcuni filosofi a parlare di pictural turn» (Di Stefano 2012, 7) col fine di intrattenere tramite il coinvolgimento emotivo di luci, suoni e immagini dinamiche in movimento (si pensi ai molti progetti nazionali e internazionali di History Telling, di Video o Audiovisual Mapping e di Architectural data sculpture). Grazie alle tecnologie digitali la facciata è andata così assumendo un ruolo da protagonista nel connubio tra parete e multimedialità. Accade così che
different types of lighting on historical facades are introduced, in general, and then specifically, 3D projection mapping on the facade of historical buildings, in order to create a context for proposing a new idea to apply this technique on the historical facade. (Moghaddam 2014, III)
Il nostro caso però è assai diverso e se è vero che le proiezioni vengono spesso utilizzate per ricostruire visioni artistiche e architettoniche ormai perse13 seguendo un approccio filologico e non solo performativo, e che, per le loro caratteristiche altamente suggestive e non invasive, esse permettono di ristabilire l’unicità di un’opera senza che il ripristino diventi una manomissione ex novo, nel caso delle facciate dipinte di Roma, disposte in una collocazione sfavorevole, presentano alcuni limiti di applicazione che, se risolti, potrebbero rappresentare il primo passo verso la riscoperta del genere. La maggior parte dei prospetti dipinti coinvolge l’edilizia privata e minore e basta conoscere la città di Roma, il suo centro storico e i suoi vicoli per comprendere la piccolissima porzione di spazio in cui si troverebbe il palazzo su cui intervenire con eventuali videoproiezioni. La decorazione proiettata difficilmente combacerebbe con la sua disposizione originaria né, tanto meno, con gli elementi strutturali della facciata che nel passato orientavano e imponevano le modalità di inserimento e di scelta degli ornamenti. Anche la condivisione di questa scoperta verrebbe meno visto che difficilmente un vicolo o una strada stretta si prestano a divenire una platea per la visione collettiva di restauri di luce, ma la videoproiezione resta comunque una strada da poter percorrere superati i limiti tecnici.
13 Dalle proiezioni di luce per la riproposizione della colorazione originaria dell’Ara Pacis Augustea (oggi tramite realtà aumentata) grazie allo studio di quello che era, o si suppone che fosse, l’aspetto cromatico dell’Ara Pacis (Rossini 2010) alla musealizzazione della Domus romana di Palazzo Valentini (in cui, dal 2011, le antiche pitture murali e i mosaici sono visibili e ricostruiti virtualmente attraverso la grafica digitale e la videoproiezione all’interno di un percorso multimediale stabile) fino al ripristino, tramite videoproiezioni, del ciclo di affreschi medioevali di Santa Maria Antiqua realizzato nel 2016.
Se il fine del presente studio è quello di trovare una soluzione convincente per provare a rendere nuovamente fruibile quel piccolo patrimonio decorativo nascosto tra le strade del cuore di Roma, l’ambizione primaria è quella di coinvolgere la città e il suo flusso di visitatori, ripristinando così anche la forte valenza pubblica del genere in esame. Per sua stessa natura, la facciata è ciò che per prima si mostra all’interno della conformazione urbana ed è considerata, a partire dal trattato di Leon Battista Alberti (cf. Alberti 1989) in poi, responsabile dell’estetica e della reputazione cittadina. Le facciate dipinte, già alla fine del XVI secolo si trasformano in botteghe d’arte all’aperto, in veicoli di una formazione pubblica e gratuita e in una vetrina dell’opera dei grandi artisti del Cinquecento.14 Da elementi di puro decoro le pitture esterne diventano modelli teorici e figurativi per la collettività e veicoli comunicativi.15 Quegli imponenti supporti resi opere d’arte e affacciati sulla città diffondevano e mostravano simbologie, forme e repertori iconografici condivisi dalla società del tempo e da tutti ammirati inserendosi in uno «spazio stradale trasformato in luogo di contemplazione e di lettura di storie», come scrive Paolo Portoghesi (1970, 360). Le facciate, dalla loro posizione privilegiata nello spazio urbano, divennero ben presto meta obbligatoria per gli artisti ed è proprio grazie a questa attenzione che oggi disponiamo ancora di riproduzioni, schizzi e testimonianze visive dei dipinti sui prospetti romani.16 Bisogna così immaginare che di fronte a quei palazzi, davanti ai quali oggi non si ferma più nessuno, secoli fa, ci fossero delle vere e proprie scuole d’arte e di gusto: «laonde si è veduto di continuo ed ancor si vede per Roma tutti i disegnatori esser più volti alle cose di Polidoro e Maturino, che a tutte l’altre pitture moderne» scriveva Vasari delle opere dei più importanti decoratori di facciate della Roma del Cinquecento (1971, 230‑1). Tra le diverse tipologie di ambienti decorati all’esterno che vengono realizzati in quegli anni, come le facciate delle chiese, i chiostri o i cortili, si vogliono quindi privilegiare le pitture che si affacciano su strada perché trasformano il contesto visivo della struttura urbana e perché, fin dalla loro origine, si sono imposte come pareti parlanti e oggetto di fruizione civica:
14 «Quando queste facciate erano in essere, potea dirsi veramente di Roma, che tutta intera fosse uno esempio ed una pubblica ed onoratissima scuola di pittura» (Amati 1867, 3).
15 Un buon esempio della possibile valenza didattica di una facciata come veicolo comunicativo nel Cinquecento viene proposto dalla casa dell’architetto mantovano Giovan Battista Bertani sul cui prospetto egli decise di ‘esporre’ due colonne senza nessun compito strutturale ma «con la specifica intenzione di volere dare dimostrazione teorica e pratica del mondo di comporre secondo tale ordine. […] La facciata dell’edificio viene concepita come un vero e proprio ‘testo’ dove esporre per immagini i principi architettonici. Riportando sulla facciata in modo visibile e tangibile ciò che costituiva una schema teorico (anche se elaborato apposta per essere messo in pratica) l‘immagine diventa simbolo e la facciata manifesto. […] la facciata non presenta infatti nessuna particolarità a parte il fatto di essere una vera e propria pagina illustrata del trattato del Bertani. Si stabilisce in tal modo uno stretto rapporto tra parola e immagine, operando attraverso la manipolazione di elementi usuali una riduzione formale immediatamente comunicabile» (Capuano 1995, 19‑20).
16 Dalle riproduzioni esistenti, dalle testimonianze storiche e dagli studi moderni sappiamo che tra gli estimatori e gli studiosi di quel genere c’erano Peter Paul Rubens, Annibale Carracci, Nicolas Poussin, Pietro da Cortona, come anche Andrea Sacchi.
quando un’interazione di città acquista una speciale caratterizzazione grazie alla presenza di ornati di superficie, l’istanza conservata dovrebbe essere affermata nel senso di superare la logica dell’iniziativa privata o dei singoli cantieri di restauro, per diventare un’esigenza civica generale. (Toscano 2000, 61)
Proprio per questo motivo si vuole affermare la necessità di una ricostruzione e un’esplorazione in situ con la mediazione di dispositivi mobili che restituisca al genere della Roma picta la sua valenza pubblica di museo a cielo aperto.
4 Una proposta di valorizzazione e di ripristino mnemonico della Roma picta
Riunito e digitalizzato tutto il materiale disponibile facciata per facciata e realizzata una campagna fotografica dello stato attuale dei prospetti – operazione tutt’altro che scontata vista la loro collocazione17 –, bisognerà trovare il modo migliore per far rivivere quelle decorazioni, la loro cornice architettonica, storica e sociale e il loro significato ed evidenziare l’esistenza a Roma di un fenomeno decorativo dalla grande importanza e segnalarlo nello spazio urbano. Per questo si è pensato a una metodologia integrata e scalabile vista la presenza di tali tipologie di lacune formali e mnemoniche in molte altre città italiane.
17 Già nel 1985, Errico, Finozzi e Giglio avevano riscontrato alcuni problemi per presentare al lettore la ricognizione delle facciate dipinte che proponevano: «è quasi del tutto impossibile infatti – scrivono – fotografare tali facciate in una veduta d’insieme a causa della loro collocazione in vicoli ristretti» (1985, 62). I primi tentativi di fotografare i superstiti palazzi dipinti al loro esterno sono stati, infatti, fallimentari. Gli scatti riproducono la visione da sotto in su del passante e, di conseguenza, non possono essere usati per la ricostruzione o per l’esposizione completa del repertorio. A tal scopo bisognerebbe convincere l’inquilino della casa di fronte a consentire di fotografare dalle sue finestre la facciata – come del resto dovettero fare per le fotografie che accompagnavano la prima mostra sull’argomento del 1960, come dimostra il saggio di Goffredo Grilli su Palazzo Milesi in cui la fotografia della decorazione pubblicata fu «eseguita, per cortese consenso del Barone Camuccini, da una finestra del suo palazzo che è in faccia all’antico palazzo Milesi» (1905, 100).
La creazione di un’applicazione per dispositivi mobili faciliterebbe in primo luogo la creazione di un itinerario romano inedito basato sulla mappatura delle facciate decorate a Roma in origine e di quelle ancora esistenti (utile a mostrare la diffusione del genere in epoca rinascimentale e la progressiva perdita in età moderna). Ogni punto sulla mappa, corrispondente a una facciata decorata, darà la possibilità di approfondirne la conoscenza e di mettere a disposizione dell’utente materiali e contenuti riguardanti il prospetto scelto: la documentazione iconografica, le informazioni riguardanti la datazione, la tecnica, il soggetto e l’artista o l’attribuzione e link di approfondimento storico e macro-culturale sul fenomeno. Purtroppo, non esistono fonti iconografiche per tutte le facciate dipinte superstiti e scomparse. Laddove possibile, si riprodurrà l’aspetto originario della facciata con le sue decorazioni ma, in caso opposto, ci si accontenterà di far almeno conoscere l’esistenza e la diffusione del genere. Il percorso si dovrebbe focalizzare sui palazzi ancora esistenti ma non è da escludere una mappatura che coinvolga anche gli esempi ricordati dalle fonti ma oggi persi. Per supplire ai problemi legati al cambiamento dell’assetto viario dal XVI al XXI secolo, si potranno usare layer attraverso i quali sarà possibile sovrapporre (grazie all’indicazione di alcuni punti e le rispettive coordinate geografiche) mappe storiche a mappe attuali e mostrare le facciate dipinte anche in quelle strade che oggi non esistono grazie a una «mappa digitale tematica consultabile in open access online».18
18 Cf. in merito il progetto di ricerca Naples Digital Archive. Moving Through Time and Space del Dipartimento di ricerca della Bibliotheca Hertziana (https://www.biblhertz.it/it/dept-michalsky/naples-digital).
Aspetto centrale del progetto sarà la possibilità di sovrapporre a una facciata la sua originale decorazione tramite realtà aumentata (cf. Maniello 2021) o realtà mista (Mixed Reality o MR) per ricostruire parte di una pittura perduta o degradata senza annullarne l’aspetto attuale, la sua secolare storia. La fruizione in presenza rimane infatti l’ambizione maggiore, al fine di integrare aspetti antichi e contemporanei, per un approccio attivo all’arte, e fondere in un’unica immagine-sequenza memorie lontane e aspetti attuali,
in una prospettiva che mantenga anche l’integrità dei manufatti e dei siti, che conservi un senso della distanza e della differenza fra il passato e il presente, fra l’originale e la ricostruzione, fra l’oggetto e la sua interpretazione. (Salvarani 2013, 11‑13)
Si potranno così
illustrare, sovrapporre, confrontare le fasi storiche che hanno portato alla creazione di un’entità composita come un edificio […]. Le fasi di costruzione, gli interventi successivi, le variazioni in atto e quelle tendenziali legate a fattori esterni o al degrado: tutto può essere indagato, esposto con chiarezza, valorizzato. (2013, 67)
In questo modo, le informazioni a nostra disposizione saranno accessibili in presenza: immagini e documenti costituiranno a loro volta altre fonti di informazione, delle iperimmagini per approfondirne ulteriormente la storia della rappresentazione (mitologica, sacra o motivi ornamentali), la vita e le opere dell’artista, la descrizione della tecnica usata.
La proposta ricade dunque in un percorso volto alla scoperta formato da tre tappe che andranno a coincidere con tre differenti livelli di incontro e di interazione con l’opera. Appurato che vicino alla nostra posizione esiste un palazzo che nasconde una storia e una decorazione – possibilità per la quale i sensori di prossimità come i Beacon potrebbero essere altamente funzionali – non si dovrà far altro che raggiungerlo e, se si vorrà, interrogarlo nei suoi variegati aspetti e tramite le modalità messe a disposizione che indubbiamente modificheranno non solo la percezione dell’oggetto ma anche dell’aspetto che dovette assumere la città di Roma tra Quattrocento e Cinquecento. Gli strumenti a disposizione per realizzarlo appaiono infiniti:
le tecnologie aumentate sono oggi ormai in grado di diventare pervasive grazie alla capillare diffusione di dispositivi quali tablet e smartphone che, seppure nati per esigenze diverse, sono risultati essere perfettamente idonei a fornire uno strato di informazione digitale letteralmente sovrapposto agli oggetti presenti nel nostro campo visivo […]. Esse rispondono all’esigenza di completare la fruizione del contesto reale nel momento stesso in cui essa viene richiesta. (Bergamasco, Carrozzino, Evangelista 2014, 110)
Non si può infine non prendere in considerazione il fenomeno degli NFT (cf. Weidinger 2021) quale azione speculativa e di legacy che possa andare a sostenere la conservazione, il restauro e lo studio dei beni in esame. Gli NFT (non fungible token) non sono altro che un insieme di informazioni digitali depositato nella blockchain, registro digitale pubblico, trasparente, decentralizzato, eterno e inviolabile. Per quanto riguarda la ricostruzione in formato digitale di una decorazione scomparsa di una facciata cinquecentesca di cui stiamo parlando, essi potrebbero entrare in gioco tramite l’utilizzo dell’hash, una funzione crittografica che codifica i dati per formare una singola stringa di caratteri. I dati digitali che compongono l’immagine della decorazione (della sua ricostruzione) possono in questo modo essere associati ad un’identità/firma che garantirebbe l’originalità e l’irripetibilità dei dati. Una volta depositato il dato nella blockchain, esso rimarrebbe inviolabile e autentico. La blockchain è una tecnologia relativamente giovane e le sue applicazioni sono ancora da definire e sperimentare ma, grazie alle sue caratteristiche che danno consistenza – in termini di tracciabilità e proprietà – al dato digitale, sono ipotizzabili alcune modalità di utilizzo e peculiarità applicabili a gran parte del patrimonio storico artistico e non solamente al caso specifico qui presentato. In primo luogo, una ricostruzione digitale, come qualsiasi altro dato digitale, è caratterizzata dall’essere di proprietà di chi la crea. Avendo una forma che autentica la proprietà del dato digitale, essa può essere ceduta tramite smart contract (una tipologia di contratto digitale associato al token), producendo valore. Legata alla questione della proprietà è la legacy, l’eredità del dato digitale, che, una volta depositato su blockchain (un registro pubblico peer-to-peer), può essere ritracciato mostrando e mettendo in evidenza, in piena trasparenza, la storia legata a quel dato. In termini speculativi, invece, data la trasferibilità del bene digitale unico, all’NFT può essere associato un valore economico, ridistribuitile tramite smart contract tra i possessori del token, riconoscendo il diritto di seguito (royalties) a tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di una ricerca o di una ricostruzione virtuale di un’opera storica scomparsa.
Ai possessori del token potrebbe inoltre essere dato accesso a dei contenuti di natura scientifica (sia digitali che di altra natura) come ricostruzioni in augmented reality fruibili tramite strumenti hardware specifici fino a esperienze reali dal vivo come una visita guidata in situ. Vi è poi un altro importante aspetto legato all’utilizzo degli NFT che è già abbondantemente sperimentato da brand commerciali ma che ancora non viene applicato ai beni culturali: la creazione di un token legato a un bene storico artistico, proprio per le sue caratteristiche legate alla scarsità e autenticità che fanno assumere un valore trasferibile, rende il possessore del token una sorta di ‘ambasciatore del token’ tanto che, più esso viene trasferito o richiesto, maggiore sarà il suo valore. Questa dinamica intrinseca a ogni commodity, comprese quelle digitali, può facilmente trasformarsi in una leva pubblicitaria e in una dinamica vivificante per l’intero patrimonio storico artistico.
La ricostruzione digitale della decorazione persa, o solo in parte ancora leggibile, potrà così essere venduta favorendo un processo che tenda a far entrare nel Metaverso non solo un singolo brano decorativo ma un intero genere artistico. Si auspica dunque un nuovo processo di distribuzione di un contenuto non più basato sulla componente immersiva, conoscitiva o emotiva ma sul possesso, che andrebbe così a generare un’economia a servizio della ricerca.
Il tentativo di ridare un volto ornamentale alle facciate con il minor grado di approssimazione possibile dovrà, a prescindere dalle tecniche utilizzate, inizialmente concentrarsi su pochi ma concreti esempi scelti sulla base del materiale esistente. Troppo è andato perso per potersi permettere delle ricostruzioni approssimative, per confronto o per induzione; pochi i brani puramente ornamentali dalla ripetizione geometrica per i quali a Mantova si è potuto ricreare la trama senza tracce preesistenti. La scelta dovrebbe quindi inizialmente cadere su quei palazzi la cui memoria è stata tramandata con parole e immagini con il minor grado di incertezza possibile: via della Maschera d’Oro, 7 e 9; Tor Millina (torre e palazzo); vicolo della Fossa, 14‑17; vicolo del Governo Vecchio, 52; vicolo Cellini, 31; via del Pellegrino, 64 e 66; Palazzo Massimo (Piazza de’ Massimi, 1); vicolo del Campanile 3; via di S. Salvatore in Campo, 43‑44. Non vi sarà dunque la necessità di presentare tutti i prospetti decorati riportati sommariamente dalle fonti e neppure quella trentina di esempi ancora visibili. Del resto non ce ne sarebbe bisogno: Cecilia Pericoli Ridolfini ha provato a elencarne molti nel catalogo della prima mostra sull’argomento del 1960 (cf. Pericoli Ridolfini 1960) barcamenandosi tra l’incertezza delle fonti e i pochi sopravvissuti così come aveva già fatto Umberto Gnoli (1938). Errico, Finozzi e Giglio (1985) hanno poi voluto dar vita a una ricognizione anche visiva dei pochi esempi che al 1985 mantenevano ancora residui di decorazioni con campagne fotografiche, rilievi architettonici e studi su intonaci e materiali. Lo stesso può dirsi per il lavoro – anche se incentrato sul solo caso del rione Borgo – di Giacometti e Mauro (1994).
Non si tratta solamente di preservare le tracce e gli esiti superstiti spesso definiti avanzi (cf. Hermanin 1944) e di mostrare l’invisibile tramite ricostruzioni digitali. La riproposizione proposta non vuole quindi esaurirsi nell’esposizione di antiche memorie o nello sfoggio di tecniche e strumenti digitali e multimediali. Attraverso la ricostruzione – per la quale si prevedono all’incirca sei mesi – si vorrà raccontare la progressiva perdita di un patrimonio e facilitare un recupero di interesse e un cambiamento di percezione nei confronti di quelle ormai pallide tracce decorative. Ricostruzione quindi non tanto formale ma quale mezzo per suscitare nuovi interessi e come chiave di accesso per scoperte solitamente inaccessibili; per avere dunque il privilegio di entrare in contatto con la storia dell’arte che non c’è che in qualche modo continua a riecheggiare nelle metodologie fruitive contemporanee utili anche per aprire possibili scenari futuri di investimenti e campagne che possano riportare alla luce decorazioni che ancora vivono sotto gli intonaci dell’edilizia minore romana: provare così a «far rivivere opere ancora nascoste sotto lo scialbo, dando nuovamente alle vie l’aspetto antico di ridente preziosità» (Giovannoni 1946, 39‑40).



Figura 2 a-c Torre dei Millini, Roma. 2016. Ricostruzione grafica di Giovan Battista Giovenale (1909)



Figura 3 a-c Vicolo del Campanile 3, Roma. 2016. Ricostruzione grafica di Enrico Maccari (1876)

Figura 4 Via del Pellegrino 65‑66, Roma. 2016. Riproduzione anonima da Archivio Capitolino di Roma, tit. 62, b. 31, fasc. 27. (1884)



Figura 5 a-c Via San Salvatore in Campo 43‑44, Roma. 2016. Rilievo di E. Cisterna pubblicato nell’Inventario dei Monumenti di Roma (1911)
Bibliografia
Fonti primarie
Alberti, R. (1585). Trattato della nobiltà della pittura. Roma: Francesco Zannetti.
Alberti, L.B. [1485] (1989). De re aedificatoria. Milano: Il Polifilo.
Alberti, R.; Zuccari, F. (1604). Origine e progresso dell’Accademia del disegno, de Pittori, Scultori & Architetti di Roma recitati sotto il reggimento dell’Eccellente Sig. Cavagliero Federico Zuccari, & raccolti da Romano Alberti. Pavia: Pietro Bartoli.
Amati, G. (1867). «Di Giulio Mancini, e del suo trattato inedito sopra le pitture di Roma». Il Buonarroti, 2(1), 1‑8.
Armenini, G.B. [1587] (1988). De veri precetti della pittura. Torino: Einaudi.
Baglione, G. [1642] (2008). Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d’Urbano VIII. Bologna: Arnaldo Forni Editore.
Brandi, C. [1963] (2000). Teoria del restauro. Torino: Einaudi.
Burckhardt, J. [1853] (1952). Il Cicerone. Firenze: Sansoni.
Celio, G. [1638] (1967). Memoria delli nomi dell’artefici delle pitture che sono in alcune chiese, facciate, e palazzi di Roma. Milano: Electa.
Giovannoni, G. (1946). Il quartiere romano del Rinascimento. Roma: Edizioni della Bussola.
Gnoli, U. (1938). Facciate graffite e dipinte in Roma. Arezzo: Dalla casa Vasari.
Grilli, G. (1905). «Le pitture a graffito e chiaroscuro di Polidoro e Maturino sulle facciate delle case a Roma». Rassegna d’Arte, 5(7), 97‑102.
Hermanin, F. (1944). «Gli ultimi avanzi d’un’antica galleria a Roma». Roma, 22, 43‑8.
Iannoni, G.; Maccari, E. (1876). Graffiti e chiaroscuri esistenti nell’esterno delle case riprodotti in rame per cura di Enrico Maccari. Roma: Maccari.
Lomazzo, G.P. [1590] (1974). Idea del Tempio della pittura. Firenze: Istituto Nazionale degli studi sul Rinascimento.
Lévy, P. (1999). Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie. Milano: Feltrinelli.
Mancini, G. [1628] (1956). Considerazioni sulla Pittura. Roma: Accademia dei Lincei.
Milizia, F. [1797] (1827). Dizionario delle Belle Arti del disegno. Bologna: Cardinali e Frulli.
Pericoli Ridolfini, C. (1960). Le case romane con facciate graffite e dipinte. Roma: F. Capriotti.
Portoghesi, P. (1970). Roma nel Rinascimento. Milano: Electa.
Toscano, B. (1998). «Vademecum per una storia dell’arte che non c’è». Roma moderna e contemporanea, 6, 15‑33.
Toscano, B. (2000). Le facciate a sgraffito in Europa e il restauro della facciata del Palazzo Racani-Arroni in Spoleto. Spoleto: Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo.
Toscano, B. (2006). La città assente. La via Alessandrina ai Fori Imperiali. Milano: Agorà.
Vasari, G. [1658] (1971). Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori. Milano: Rizzoli.
Letteratura secondaria
Antinucci, F. (2014). Comunicare nel museo. Roma-Bari: Laterza.
Balkun, M.; Deyrup Mestrovic, M. (2020). Transformative Digital Humanities: Challenges and Opportunities. London: Routledge. https://doi.org/10.4324/9780429399923.
Bazzotti, G. (2013). «Ricostruzioni 3D per la manutenzione e la tutela dei beni culturali». Salvarani 2013, 61‑71.
Bazzotti, G.; L’Occaso, S.; Vischi, F. (2009). Facciate dipinte nella Mantova di Andrea Mantegna. Milano: Skira.
Bergamasco, M.; Carrozzino, M.; Evangelista, C. (2014). «Le ville venete come information landscape». Barbieri, G., Dentro le ville Venete, un nuovo sguardo. Crocetta del Montello (TV): Terra Ferma, 109‑17.
Bodard, G.; Mahony, S. (2010). Digital Research in the Study of Classical Antiquity. Digital Research in the Arts and Humanities. Farnham: Ashgate.
Bonancini, E. (2011). Nuove tecnologie per la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale. Roma: Aracne.
Branchesi, L.; Curzi, V.; Mandarano, N. (a cura di) (2016). Comunicare il museo oggi. Dalle scelte metodologiche al digitale. Milano: Skira.
Brunelli, A. (2017). «Vedere l’‘invisibile’: musei e biblioteche nell’era della Realtà Aumentata» . Bibliotime, 20, 1‑2-3.
Calzona, L. (2015). «Prefazione al testo». Ambrosi, A. (a cura di), Torre Millina e Palazzo dei Millini. Interventi di restauro e risanamento conservativo. Roma: Aracne, 11‑13.
Capuano, A. (1995). Iconologia della facciata nell’architettura italiana. La ricerca teorico-compositiva dal trattato di Vitruvio alla manualistica razionale. Roma: Gangemi.
Champion, E. (2021). Virtual Heritage: A Guide. London: Ubiquity Press. https://doi.org/10.5334/bck.
Ciotti, F.; Roncaglia, G. (2000). Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media. Bari: Laterza.
Colosi, F.; Frontoni, E.; Malinverni, E.S.; Orazi, R.; Pierdicca, R.; Zingaretti, P. (2015). «Making Visible the Invisible. Augmented Reality Visualization for 3d Reconstructions of Archaeological Sites». De Paolis, L.T.; Mongelli, A. Augmented and Virtual Reality. Berlin Heidelberg: Springer, 25‑37. https://doi.org/10.1007/978‑3-319‑95270-3.
Danielsson, I.; Jones, A. (2020). Images in the Making: Art, Process, Archaeology. Manchester: University Press. https://doi.org/10.7765/9781526142856.
Di Stefano, E. (2012). Iperestetica. Arte, natura, vita quotidiana e nuove tecnologie. Palermo: Aesthetica.
Dal Pozzolo, L. (2018). Il patrimonio culturale tra memoria e futuro. Milano: Editrice Bibliografica.
Errico, M.; Finozzi, S.S.; Giglio, I. (1985). «Ricognizione e schedatura delle facciate affrescate e dipinte a Roma nei sec. XV e XVI». Bollettino d’Arte, 33‑34, 53‑134.
Failla, M.B.; Gioli, A.; Piva, C. (2016). «Il progetto La vita delle opere: dalle fonti al digitale per la comunicazione della storia conservativa nei musei». Branchesi, Curzi, Mandarano 2016, 363‑6.
Fiore, K.H. (1983). Disegni degli Alberti. Il volume 2503 del Gabinetto Nazionale delle Stampe. Roma: De Luca.
Gaiani, M.; Garagnani, S.; Gaucci, A.; Moscati, P. (2021). ArchaeoBIM Theory, Processes and Digital Methodologies for the Lost Heritage. Bologna: Bononia University Press.
Giacometti, E.; Mauro, F. (1994). «Sulle case dipinte a Roma con particolare attenzione per le ornamentazioni a graffito e chiaroscuro del rione borgo». Geo-Archeologia, 1, 101‑49.
Kalay, Y.; Kvan, T.; Affleck, J. (2008). New Heritage. New Media and Cultural Heritage. London: Routledge.
Letarouilly, P.M. (1992). Edifices de Rome moderne, 1795‑1855. Novara: Istituto geografico De Agostini.
Lozano, J.S. (2021). «Mapping Art History in the Digital Era». The Art Bulletin Philadelphia, 103(3), 6‑16.
Luigini, A.; Panciroli, C. (2018). Ambienti digitali per l’educazione all’arte e al patrimonio. Milano: FrancoAngeli.
Mandarano, N. (2019). Musei e media digitali. Roma: Carocci.
Manescalchi, R. (2007). Cherubino Alberti. La luce incisa. Firenze: Edizioni Grafica European Center of Fine Arts.
Maniello, D. (2021). Augmented heritage. Dall’oggetto esposto all’oggetto narrato. Brienza: Le Penseur.
Martini, B. (2016). Il museo sensibile. Le tecnologie ICT al servizio della trasmissione della conoscenza. Milano: Franco Angeli.
Moghaddam, B.M. (2014). A Guideline for Virtual Reconstruction of Historical Facades, 3D Projection Mapping Approach [PhD dissertation]. Famagusta; Eastern Mediterranean University.
Pouncey, P. (1962). Italian Drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum: Raphael and His Circle. London: Trustees of the British Museum.
Rossini, O. (2010). «I colori dell’Ara Pacis. Storia di un esperimento». Archeomatica, 1, 3.
Salvarani, R. (2013). Tecnologie digitali e catalogazione del patrimonio culturale. Metodologie, buone prassi e casi di studio per la valorizzazione del territorio. Milano: Vita e Pensiero.
Somaini, A. (2005). Il luogo dello spettatore. Forme dello sguardo nella cultura delle immagini. Milano: Vita e Pensiero.
Weidinger, A. (2021). Proof of Art: A Short History of NFTs, from the Beginning of Digital Art to the Metaverse. Berlin: Distanz.